Non ho molti amici, Carlo è uno di questi. Carlo è il padre di Giovanni, il ragazzo ciclista morto sulla strada, durante una volata, a poche decine di metri dal traguardo. Morto sbattendo la testa su una colonna di pietra senza protezione. Morto a vent’anni, pochi per andarsene. Morto, e intorno al suo corpo scempiato comincia il ballo delle responsabilità, delle dichiarazioni discutibili, contraddittorie, mentre la famiglia annega in un dolore disperato.
Conosco bene la storia di quel giorno maledetto. Troppe ombre circondano quella gara e siccome nessuno le ha estirpate ho presentato un’interrogazione al ministro della giustizia. Aspetto la risposta.
Poi leggi l’atto difensivo del comune dove l’incidente mortale è avvenuto – Molino dei Torti, provincia di Alessandria – e ti viene voglia di invocare la giustizia divina, quella del Dio del Vecchio Testamento, terribile.
Ecco le parole usate da un libero Comune di faccia a un ragazzo morto, davanti alla disperazione: ‘I genitori per fortuna hanno altri figli ed i nonni altri nipoti; la giovane fidanzata, superato il trauma del triste evento, potrà legittimamente costruirsi una nuova vita’.
Un linguaggio ipocrita, burocratico, da mezze maniche, anzi da ominicchi che non conoscono ne’ la pietà ne’ la dignità. Insomma, cara mamma, caro babbo, cara fidanzata, cari nonni e carissime sorelle, dimenticate Giovanni, non piangetelo più, non rompete più i coglioni. È passato un anno dalla sua morte e ancora siete qui a pretendere giustizia. E ora denunciatemi!
Roma, 18 novembre 2020