La domanda è tornata di attualità con il trionfo dei talebani in Afghanistan. Tutti a sostenere che no, la democrazia non si può esportare, servono condizioni particolari perché metta radici. Vero e falso.
La democrazia occidentale è cresciuta e si è rafforzata grazie ad alcuni fattori: proprietà privata, culto della libertà, spirito competitivo, rivoluzione scientifica, etica del lavoro, difesa dei diritti civili e sociali. Non è sorta dappertutto nel medesimo tempo. In Inghilterra prima, in Italia più tardi, in alcuni paesi del Sud America di recente. Talvolta – Italia e Germania lo insegnano – le democrazie parlamentari sono state sopraffatte da regimi totalitari. La Russia è passata dallo zarismo al comunismo di stato e solo da qualche anno balena una parvenza di democrazia, decisamente di livello più basso rispetto alla tradizione occidentale. L’Africa è un caso a parte, sono rari i paesi dove la democrazia si è consolidata. Altro caso i paesi arabi: c’è proprietà privata, c’è spirito competitivo ma, quanto a diritti individuali e ad elezioni libere, abbiamo visto di meglio e di più.
Alla fine della seconda guerra mondiale è stato il Giappone a stupire il mondo. Veniva da una tradizione illiberale ed ha saputo costruire uno stato democratico (anche grazie alla presenza americana).
Voglio dire che non c’è una soluzione unica per tutto e che l’impossibilità di esportare la democrazia non è affatto un assioma. La storia talvolta ha dimostrato il contrario. Forse dovremmo fare un discorso a parte per i paesi islamici. Aveva ragione il politologo Giovanni Sartori: ‘La democrazia non è esportabile nei paesi islamici perché sono teocrazie fondate sulla volontà di Allah e non sulla volontà del popolo. Dio e popolo sono due principi di legittimità inconciliabili’. È proprio così. Allora, che fare in casi come quello afghano? Arrendersi? Fregarsene? No, bisogna comportarsi come gli antifascisti durante il ventennio, quando vennero considerati dei folli pur avendo ragione. Altrimenti, perché andarono a morire nella guerra civile spagnola?
È necessario che il consesso internazionale, a cominciare dall’Onu e dal G20, adotti comportamenti stringenti rispetto al nuovo governo di Kabul, salvo pesanti sanzioni. Un governo che rapisce le donne, spara sulla folla, si regge sul traffico d’oppio, adotta la sharia, assume il terrore come bussola non può essere riconosciuto. I talebani hanno già tradito gli accordi di Doha e possono diventare l’approdo sicuro del terrorismo internazionale, come l’Iraq nel 2000 e la Siria dieci anni fa.
Tutti per uno, questa dovrebbe essere la strategia. Nondimeno vedo tre nodi da sciogliere.
Uno. Gli interessi della Cina. Il giorno del 100^ compleanno del partito comunista cinese, Xi ha dichiarato: ‘Non ci faremo più bullizzare, schiacceremo le teste su una muraglia d’acciaio’. Domando: L’Afghanistan rientra nella sfera di influenza cinese?
Due. Biden ha dichiarato che gli Usa sono andati a Kabul per combattere il terrorismo e non per costruire una nazione. Magari l’avessimo saputo…È il preludio a un futuro disinteresse degli Usa proprio ora che la Cina ha lanciato una sfida al primato universale?
Tre. L’Europa. O fa politica come un’unica entità- con un solo ministro delle finanze, con una politica coordinata di difesa, insomma in cammino verso lo stesso destino – o è destinata a diventare soltanto un mercato. A guidarne le prossime mosse non deve essere solo la paura dell’arrivo di masse di migranti o il timore di rigurgiti del terrorismo. Non bastano più politiche difensive. Servono politiche attive e la difesa dei diritti individuali, fondamentali nella vita di ciascuno di noi, che tu creda in Cristo o in Allah, in Confucio o nel Buddha, è una di quelle storie che abbiamo partorito in questa fetta del mondo e che non possiamo mai dimenticare. (Articolo scritto per Huffinghton Post)